IL PRETORE A seguito della convalida dell'arresto eseguito a carico di Endorth Julia, Ben Ali' Idriss, Naya Redouane, Hassibi Mohamed e Said Mohamed per il reato di cui all'art. 7-bis, secondo comma, seconda parte, legge n. 296/1993 si procedeva, previo rigetto della richiesta di applicazione nei loro confronti della custodia cautelare in carcere e conseguente rimessione in liberta' degli imputati, nei confronti dei medesimi ai sensi dell'art. 566, sesto comma, del c.p.p., con giudizio direttissimo. Richiesti dalla difesa degli imputati ex art. 466, settimo comma, del c.p.p. i termini a difesa si perveniva in data odierna all'udienza dibattimentale. Prima dell'apertura del dibattimento ritiene il giudicante di dover sollevare la questione di costituzionalita' della norma incriminatrice in relazione all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. La questione appare invero non manifestamente infondata e senz'altro rilevante nel presente giudizio in relazione alle posizioni di Naya Redouane e Ben Ali' Idriss. Osserva infatti il giudicante che per il principio della riserva di legge, e, in particolare, per il principio (nel primo ricompreso) della tipicita' o della determinatezza della fattispecie, la norma penale deve contenere una descrizione intellegibile della fattispecie astratta. Se e' vero che l'"intellegibilita'" non puo' essere fatta consistere nell'assenza di ogni dubbio interpretativo legato alla norma e se e' ancora vero che il precetto penale puo' operare riferimenti ad espressioini indicative o di valore (cfr. sent. Corte costituzionale nn. 27/1961 e 191/1979), certo e' che la disposizione di natura penale deve essere determinata con connotati precisi in modo, per un verso, da consentire all'interprete di poter ricondurre l'ipotesi concreta ad un chiaro paradigma normativo (e cio' allo scopo di prevenire il rischio di eventuali arbitri del potere giudiziario) e, per un altro verso, da mettere in condizione il destinatario della norma stessa di conoscere in che cosa si sostanzia la condotta penalmente sanzionata: la stessa Corte costituzionale nella nota sentenza n. 364/1988 ha sottolineato che "nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli e' lecito e cosa gli e' vietato". Cio' posto, ad avviso del giudicante, la formulazione della norma di cui all'art. 7-bis, secondo comma, seconda parte, legge n. 296/1993 e' tale per cui non puo' essere manifestamente esclusa la illegittimita' costituzionale della disposizione in relazione al richiamato principio ex art. 25, secondo comma, della Costituzione. L'art. 7-bis, secondo comma, citato, dopo aver previsto - nella prima parte - la punibilita' dello straniero che "distrugge il passaporto o il documento equipollente per sottrarsi all'esecuzione del provvedimento di espulsione", nella seconda parte (che e' quella interessante il presente giudizio), tende a perseguire lo straniero che "non si adopera per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente". Ritiene il giudicante che l'espressione "non adoperarsi", nel significato che la stessa assume, sulla base del significato letterale delle parole, e cioe' di non darsi da fare o di non impegnarsi o di non affaccendarsi, in relazione all'obiettivo cui il "facere" alternativo si deve rapportare (e cioe' l'ottenimento del documento) si caratterizza per un contenuto di estrema genericita'; in particolare la norma non chiarisce quale tipo di condotta (almeno nel suo contenuto minimo) il soggetto deve porre in essere al fine di evitare di incorrere nella violazione del precetto penale. A solo titolo di esemplificazione ci si potrebbe interrogare se la richiesta di informazioni rivolta dall'interessato ad un'agenzia di pratiche amministrative o all'ufficio stranieri della questura, o all'ufficio del comune o, ancora, all'ambasciata del proprio Paese, sia sufficiente per escludere la sussistenza oggettiva del reato omissivo, oppure, in caso di risposta negativa (ma non si comprende sulla base di quale parametro ipotizzare una soluzione in ogni caso consapevole) se occorra da parte dello straniero formalizzare la medesima richiesta in un atto documentale (raccomandata a.r.) o, ancora, se sia comunque tenuto l'interessato a richiedere una dichiarazione da parte dei vari enti o autorita' contattati allo scopo di poter adeguatamente dimostrare (peraltro in una sorta di un'inammissibile inversione dell'onere della prova) che lo stesso si e', in qualche modo, "adoperato". Senza peraltro alcuna certezza in ordine alla sufficienza del proprio comportamento ai fini di evitare l'irrogazione della sanzione penale. La vaghezza della disposizione risulta ulteriormente aggravata dalla circostanza obiettiva rappresentata dalla qualita' del soggetto destinatario della norma (lo "straniero"), che, per il solo fatto di essere tale, e quindi per la circostanza il piu' delle volte di non comprendere appieno la lingua italiana, dovrebbe (semmai) essere messo in condizione di ancor piu' chiaramente conoscere cio' che la legge penale italiana gli impone o gli vieta di fare. Alla sospetta indeterminatezza della disposizione consegue quindi il giudizio di non manifesta infondatezza della questione. In termini assai brevi si riduce infine il giudizio sulla rilevanza della questione. Gli imputati sono invero chiamati a rispondere perche' non si sarebbero adoperati al fine di ottenere il documento occorrente per l'espratrio: sulla base degli atti del procedimento, con particolare riferimento a quanto dichiarato dagli imputati Naya Redouane e Ben Ali' Idriss in sede di procedimento di convalida dell'arresto, secondo i quali gli stessi si sarebbero portati presso il Consolato per informarsi circa le modalita' attraverso le quali ottenere il passaporto, non puo' essere escluso (in mancanza di parametri normativi di riferimento) l'attribuibilita' agli stessi di una condotta che potrebbe legittimare l'applicazione della norma incriminatrice con conseguente affermazione di responsabilita' penale a loro carico. Se la norma incriminatrice fosse dichiarata incostituzionale verrebbe meno il precetto penale che si assume violato dagli imputati e, di conseguenza, gli stessi dovrebbero essere prosciolti dall'imputazione oggetto del presente procedimento. Ragioni di evidente opportunita' inducono il giudicante a sospendere il procedimento anche in relazione alla posizione degli altri imputati.